• Idee
  • 04/03/2022
  • Daniele Catozzella
Educare alla privacy

INTRO: Con gli annunci degli ultimi mesi di Apple e Google, sembra che presto non ci dovremo più preoccupare di tutelare i nostri dati e la nostra privacy. A quanto pare saranno proprio loro ad assicurare la tutela della privacy di noi utenti. Facciamo chiarezza e scopriamo se c’è ancora bisogno di educare alla privacy in un nuovo podcast.

Da qualche mese le più grandi aziende della rete, che hanno contribuito negli anni ad intossicare lo spirito di internet attraverso una sistematica profilazione dei nostri comportamenti in rete, sembrano cambiare direzione.

A quanto pare è iniziata una vera e propria competizione in cui Apple e Google, per primi, cercano di porsi come i paladini della privacy.

Un’accelerazione a cambiare che sembra anche superare il lavoro delle istituzioni sul tema della gestione dei dati di noi utenti.

E’ davvero così?

Ne parlo nel mio ultimo podcast di cui trovate anche la trascrizione

Serve ancora educare alla privacy? Il podcast

Potete ascoltare il podcast seguendo il link di seguito o sulle principali piattaforme di streaming:

La trascrizione del podcast

Ciao a tutti e bentornati ad una nuova puntata del podcast di Educare Digitale, sono Daniele Catozzella e oggi voglio raccontarvi quello che mi è accaduto qualche giorno fa quando ho incontrato un mio carissimo amico.

Conoscendo la mia passione per il diritto alla privacy mi ha mostrato il suo ultimo acquisto, un Iphone di ultima generazione e mi ha raccontato, raggiante, di sentirsi adesso molto più sicuro rispetto ai suoi dati, anzi, di sentirsi quasi totalmente protetto all’interno della rete.

Questo grazie ai sistemi che proprio la Apple ha attivato negli ultimi mesi per la tutela della privacy dei suoi utenti.

Ecco allora che di fronte alle sue certezze mi sono chiesto: ma c’è ancora bisogno di educare alla privacy?

Scopriamolo insieme – sigla

Le scelte di Apple sulla privacy

Bisogna riconoscere che stiamo davvero vivendo un momento particolare visti gli annunci, che si susseguono ormai da diversi mesi, che riguardano i diritti alla privacy delle persone in rete.

Sembra davvero che tutti quei problemi di cui io stesso ho parlato tante volte sul blog, legati al quotidiano uso indiscriminato dei nostri dati personali da parte delle grandi piattaforme del web, siano in procinto di scomparire in un prossimo futuro.

E la cosa ancora più straordinaria è che le soluzioni per il rispetto della privacy in rete siano proposte proprio dalle grandi compagnie della rete.

Tutto è iniziato con la Apple che da quest’estate ha introdotto due elementi molto significativi nella direzione di una corretta informazione sull’utilizzo dei dati per i suoi utenti per coloro che posseggono i suoi dispositivi.

Il primo elemento è stato imporre agli sviluppatori delle app l’obbligo di indicare in maniera chiara con delle apposite etichette (potete scoprirle qui) l’utilizzo dettagliato dei loro dati agli utenti da parte dell’app nel suo funzionamento.

Il secondo elemento, quello davvero dirompente nel mondo della rete, è stata la scelta di Apple di introdurre una piccola informazione, un piccolo pop up, che appare ogni volta che si scarica un app all’interno dell’Apple Store sullo schermo dell’utente e che dice in maniera molto semplice e chiara:

vuoi consentire a questa app di tenere traccia delle attività che svolgi sulle altre app della società e sui siti web?

Un semplice testo che in realtà e non fa altro che ribadire, in molto casi, quello che già è presente nelle privacy policy dei diversi servizi e app ma l’effetto è stato, questa, volta incredibile.

Sembra che lo 85% degli utenti di Apple ha risposto di non consentire questo tipo di trattamento ed il risultato è stato che grandi player del web, a cominciare da  Facebook, hanno visto d’un tratto un pesante effetto sui propri profitti.

Nel caso di Facebook ad esempio, non potendo più vendere pubblicità personalizzata al singolo utente Apple perché non ne possiede i dati specifici, il guadagno dei suo spazi pubblicitari è diminuito. 

Un effetto che, a cascata, ha investito anche tutte quelle piccole imprese che pubblicizzano i loro prodotti su piattaforme come Facebook perché l’efficacia delle loro pubblicità è sensibilmente diminuita.

E Google intanto?

Gli annunci di Google per la privacy

Google ha annunciato già da tempo di stare lavorando ad un sistema denominato “privacy sandbox” (di cui qui trovate maggiore informazioni), già in parte avviato, per la gestione dei cookie.

Quei cookie che ci seguono come un tatuaggio da un sito all’altro all’interno della rete arricchendosi di dati che diventano profili pubblicitari e piano piano anche confini delle nostre esperienze in rete, rischiando di scegliere per noi opinioni e molto altro.

Google ha inoltre  fornito ai propri sviluppatori un nuovo sistema denominato Checks che serve proprio a verificare il rispetto della normativa della privacy.

Ma allora, se questa è la direzione, il mio amico, che chiamerò Giorgio per tutelarne la privacy (scusate la freddura) ha ragione a sentirsi maggiormente protetto o ancora meglio a sentirsi alleggerito dai problemi sulla privacy?

La proposta europea del Digital Act

Come sempre non è tutto oro quel che luccica ma vorrei comunque far presente che la scelta di Apple di mostrare questo pop-up a me sembra davvero vincente.

Sono un po’ invidioso, devo ammetterlo, perché io per primo in tanti articoli (come in …. ) ho cercato di proporre degli strumenti per educare i ragazzi alla privacy nella direzione di promuoverne la consapevolezza.

Ed ecco che una “domanda” al punto giusto di Apple, raggiunge un così alto consenso contro il tracciamento e la profilazione in rete con i nostri dati.

In realtà, però, come anche molte Authority internazionali hanno sottolineato anche negli ultimi mesi, in particolare nei confronti di Google, queste grandi compagnie non hanno nessuna intenzione di tutelare i nostri dati.

Il loro obiettivo è esclusivamente quello di porsi come gli unici “gatekeeper”, gli unici custodi e proprietari dei dati.

Essere quindi le uniche compagnie che possiedono i dati e che possono rivenderli.

Fortunatamente però prosegue il percorso europeo per il diritto alla privacy.

Nelle ultime settimane è stato presentata la nuova proposta del Digital Act dedicata alla gestione dei dati, sul territorio europeo, di tutti i dispositivi che appartengono al cosiddetto Iot (Internet of thinghs – internet delle cose).

Parliamo di regole importanti, che iniziano il loro percorso istituzionale, per la tutela dell’enorme quantità di dati raccolti da smartwatch, frigoriferi, sensori di ogni genere.

Dati non necessariamente personali ma importanti da gestire anche per questioni importanti quali la transizione energetica se pensiamo ai sensori inseriti nei diversi dispositivi energetici.

Anche in questa proposta l’Unione Europea precisa l’importanza della portabilità dei dati e degli unici proprietari di quei dati: noi utenti e non le compagnie che li raccolgono

Se vuoi spiegare questi principi a tuo figlio leggi come spiegare la Gdpr ad un bambino di 5 anni

Educare alla privacy? Si!

Per non farsi prendere dall’entusiasmo del mio amico Giorgio penso sia importante ricordarci che la privacy in rete non è esclusivamente una questione pubblicitaria.

Il tema è ben più grande di ritrovarsi una pubblicità di una cosa che si è cercato in rete e questi due anni di pandemia ce l’hanno insegnato.

Il passaggio dagli anni in cui “non ho nulla da nascondere” a “sto tranquillo tanto il sistema della rete stesso tutela i miei dati” è comodo ma insensato.

La privacy è libertà per sé stessi e per la propria comunità, chi possiede i dati è in grado di cambiare anche i punti di vista come ho provato a raccontare nel podcast “Quando scoppia una bolla social

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A presto!

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