- Idee
- 27/12/2019
- Daniele Catozzella
Intro: L’impatto del mondo digitale nella vita delle nostre famiglie sembra inarrestabile, ma non è così. La grande sfida per il 2020 è quella di capovolgere la prospettiva e iniziare, noi adulti, a cambiare il modo di vivere la rete.
Fenomeni come il cyber bullismo, il revenge porn, le cosiddette dipendenze da videogiochi fanno sempre più parte delle cronache quotidiane del mondo dei nostri figli.
Sembra quasi che a noi genitori non resti altro che sperare che nostro figlio decida di usare la testa nelle sue esperienze digitali.
Sbagliato!
È di pochi giorni fa una notizia che ha fatto molto scalpore, quella di una ragazzina dodicenne che aveva condiviso con un suo coetaneo conosciuto solo virtualmente su Instagram una foto di lei nuda.
La ragazza era convinta che utilizzare la funzione “autodistruzione” di Instagram le avrebbe permesso di controllare il percorso e l’unico destinatario della sua foto.
Nel corso degli incontri e laboratori durante la Maker Faire una mamma mi raccontava di come gli amici di suo figlio tredicenne per scherzo avessero aperto un account con il suo nome e cognome su Instagram per poi utilizzarlo per insultare la loro professoressa.
Sono solo due esempi di un’esperienza sempre più comune tra i più giovani, e che d’un tratto getta nello sconforto e nella preoccupazione intere famiglie e il mondo della scuola:
l’istante in cui la rete mostra i suoi contorni più nitidi ma anche più trascurati, composti da spazi digitali sconfinati all’interno dei quali nulla è davvero sotto il nostro controllo.
Di chi è la colpa? Dei ragazzini o dei genitori?
La foto di quella ragazzina è stata poi condivisa in rete a tutti i suoi amici.
Quel ragazzino non è imputabile, eppure il male che ha fatto alla sua amica di soli dodici anni è immenso.
Ma il problema è ascrivibile alla sola mancanza di leggi adeguate al nuovo mondo digitale? No!
La legge parla chiaro, sotto i 14 anni non si è imputabili sulla base del principio che, sino a quell’età, si presuppone che la presenza dei genitori sia costante nella quotidianità di un ragazzo e capace di affiancarlo nelle sue esperienze.
Inoltre, la legge ritiene che la “testa”, intesa come maturità, di un ragazzino di dodici anni non sia ancora in grado di comprendere fino in fondo le azioni che compie.
È dunque colpa dei genitori?
Nel caso specifico non mi sento di dire questo: non conosco i genitori di questa ragazzina né i dettagli del contesto in cui è accaduta questa storia, ma, soprattutto, tante volte nelle mie attività connesse a questo blog, mi capita di incontrare genitori alle prese con fatti simili, ad esempio scambio di foto “succinte”, in contesti familiari in cui i genitori sono comunque molto presenti nella vita dei figli.
Qual è il punto, allora?
Se la legge non è adeguata, i ragazzi sono immaturi e i genitori non hanno colpe, come si affronta tutto questo?
Penso che come genitori l’errore più grosso che continuiamo a fare sia distinguere il mondo reale dal mondo digitale.
Un esempio pratico?
In quanti di noi si preoccupano di attendere l’età minima prevista per far utilizzare, in modo autonomo, le piattaforme più popolari, in particolare i social?
Probabilmente in molti casi non conosciamo nemmeno i requisiti d’età minimi per attivare un proprio account su queste piattaforme o non ci interessiamo di comprendere se un videogioco come Fortnite può essere adatto all’età dei nostri figli
Perché non facciamo vedere ai nostri ragazzi almeno fino ai 14 anni Arancia meccanica, eppure possono tranquillamente utilizzare social e piattaforme per la messaggistica istantanea?
Da cosa partire allora, o meglio ripartire?
Provo a lanciare un punto di vista, una prospettiva dalla quale iniziare ad osservare e vivere la rete:
Una prospettiva che considera il dato, personale o pubblico, come elemento base del funzionamento della rete internet.
Essere genitori oggi: comprendere i nostri dati online
La definizione di dato del Cambridge Dictionary:
un’informazione, specialmente fatti e numeri, raccolta per essere esaminata, valutata e usata per aiutare a prendere decisioni o informazioni in un formato elettronico che può essere conservato e usato da un computer.
Poniamo l’accento sul termine più utilizzato in questa definizione: usato.
Il punto è qui: riflettere, in primis noi adulti, su come ogni servizio connesso in rete, in qualunque forma, utilizza i dati.
Ho dedicato una serie di articoli, Viaggio nei dati, per approfondire la distinzione tra dati personali e pubblici e come spiegarli ad un bambino di 5 anni alla luce della nuova normativa europea, il Gdpr.
Del resto, se ci pensiamo un attimo, già all’avvio di una connessione avviene la trasmissione di un dato di non poco valore: la nostra posizione, in quell’esatto momento.
Nel mondo reale le mie informazioni personali, come ad esempio il mio indirizzo di casa, sono racchiuse in un documento di identità conservato in un portafoglio nella mia tasca.
I momenti e le persone a cui mostrerò quelle informazioni saranno sempre sotto il mio controllo e frutto di una mia libera scelta.
Nel mondo connesso le mie informazioni viaggiano all’interno di sistemi di protezione vaghi e, per la gran parte, in mano ad aziende private.
Anche scrivendo una mail ad un amico trasmetto delle informazioni che superano i confini del destinatario, e trovano spazio per essere raccolte, conservate e utilizzate nei server del mio provider di posta.
Per questo sono convinto che dobbiamo ripartire da una riflessione su quale sia il valore che dò ai miei dati e quali siano i limiti, di fronte alle proposte di ogni servizio digitale, oltre i quali, come adulto, non sono disposto ad andare.
Essere genitori oggi: non sottovalutare l’importanza dei nostri dati
I due esempi che vi ho proposto all’inizio di quest’articolo sono accomunati da due convinzioni difficili da estirpare innanzitutto e proprio tra noi adulti:
l’idea che non sia così importante badare ai propri dati in rete e l’idea di poter controllare i dati che condividiamo in rete.
Queste due convinzioni non nascono nei cosiddetti nativi digitali ma iniziano proprio in noi genitori.
Siamo noi i primi ad aver da tempo concluso che non occorre avere tutta questa attenzione nel mondo digitale.
I primi a sorvolare su ogni privacy policy, i primi a condividere le foto dei nostri figli sui social, a consegnare i selfie a server dal dubbio sistema di protezione solo per fare una risata su come saremo da vecchi o per creare degli stickers del nostro viso per WhatsApp.
Siamo noi i primi ad accettare ogni tipo di servizio gratuito, a prendere per buono, in modo del tutto automatico, un microfono in casa che ascolta ogni nostro più intimo desiderio.
Se davvero ci interessa la crescita sana dei nostri figli anche nel mondo digitale è davvero arrivato il tempo di cambiare il nostro modo di vivere il digitale ricordando che di fronte agli automatismi degli algoritmi in rete ci siamo noi con la nostra intelligenza che, ancora non mi risulta, sia stata battuta da alcuna macchina.
Essere genitori oggi: una nuova prospettiva per il 2020
Sono convinto che la più grande sfida per il 2020 per genitori e docenti sia ripartire dal dato, considerarlo nelle sue forme più concrete: un elemento di cui perdiamo il controllo una volta che è stato inserito.
Se non iniziamo noi a fare queste riflessioni mi sembra del tutto inutile pretendere dai nostri bambini e ragazzi che comprendano l’importanza della propria identità digitale.
È una sfida che dobbiamo raccogliere e che deve vederci protagonisti attivi nella rete.
Dobbiamo imparare a dire no ai nostri figli solo dopo averlo detto anche a noi.
Da questo dipende il futuro e la libertà in rete , sembra eccessivo ma è così, di noi adulti e soprattutto dei nostri figli.
Imparare ad utilizzare parole chiare e definitive quando spieghiamo ai nostri ragazzi e a noi adulti il destino di una foto o di un video che decidiamo di condividere con due semplice parole: per sempre!
Il futuro apparterrà a chi controllerà i dati, che sono sempre di più e sempre più specifici, per quale motivo ci stiamo convincendo e ci stiamo adoperando perché non siano i nostri figli a controllarli?
Si tratta di provocazioni che lancio a me per primo e sulle quali mi piacerebbe poter aprire un dialogo nel 2020 insieme, per trovare gli strumenti per un’inversione di rotta o meglio per un salto di qualità delle nostre esperienze digitali di adulti e ancora di più per quelle dei nostri ragazzi.
Permettetemi di concludere quest’articolo con una frase di uno spot, di diamanti, che negli anni ’90 è diventato molto popolare e che ho pensato di parafrasare per questi nostri anni digitali:
un dato è per sempre
E voi che ne pensate? La questione dei dati online è la sfida più grande da raccogliere come genitori?
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A presto!
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