- Idee
- 24/07/2018
- Daniele Catozzella
Intro: Privacy e internet nascono insieme: ogni strumento positivo della rete si accompagna all’utilizzo dei nostri dati personali. Crescere cittadini digitali liberi significa trasmettergli il senso della privacy come un diritto del cittadino digitale da rispettare e da difendere.
Bentornati! Siamo ormai nel pieno del nostro Viaggio nei Dati.
Nella prima puntata abbiamo disegnato sulla mappa i confini del nostro viaggio parlando di cosa sono i dati personali e scoprendo un gioco da tavolo pratico e divertente, Caccia al Dato,da giocare in famiglia per fornire ai nostri figli gli strumenti per distinguere e usare al meglio i propri dati personali.
A questo punto c’è da chiederci:
Chi e come usa i nostri dati?
La risposta a questa domanda troppo spesso si limita ad analizzare gli intrecci e gli effetti dei dati raccolti sulla base della nostra impronta digitale nel web da parte delle agenzie di marketing e pubblicitarie con l’obiettivo di profilare i nostri interessi e poter costantemente inondare le nostre esplorazioni nel web e nei suoi servizi con annunci pubblicitari disegnati sulle nostre preferenze.
Questa risposta indubbiamente spiega un aspetto del rapporto tra diritto alla privacy e internet ma a mio parere non evidenzia l’elemento centrale che a noi genitori deve maggiormente interessare nel trasmettere ai nostri figli un’educazione alla cittadinanza digitale:
conoscere come i nostri dati personali vengono utilizzati nel web significa innanzitutto comprendere che quando parliamo di diritto alla privacy e internet parliamo soprattutto della nostra libertà di esplorare il mondo digitale su percorsi decisi da noi e non dagli algoritmi.
Se leggiamo i termini di servizio di Google e il suo regolamento della privacy ci accorgiamo che i dati raccolti durante le nostre ricerche, l’uso di servizi quali Gmail o Youtube e i link che visitiamo sono tutti costantemente monitorati e spesso non basta non essere loggati in un servizio perché in ogni caso forniamo indicazioni geografiche e non solo attraverso il nostro indirizzo ip.
Gli effetti di questi sistemi maggiormente visibili sono proprio legati agli annunci pubblicitari: quante volte ci capita di trovare annunci di alberghi solo perché abbiamo cercato un luogo in particolare? O quanto spesso ci troviamo di fronte ad annunci legati ad oggetti per i quali abbiamo effettuato una ricerca?
La profilazione dei nostri dati per scopi pubblicitari è una costante della nostra navigazione, non ci sorprende e molti l’accettano rispondendo con un – Non ho niente da nascondere!– quando si parla dell’uso dei propri dati personali.
Va bene, rispondo io, non hai niente da nascondere, e da trovare?
Le ricerche che faccio attraverso i motori di ricerca cambiano a seconda del dispositivo che sto utilizzando cioè la stessa ricerca produce risultati differenti sul mio pc rispetto, ad esempio, al mio smartphone.
I miei dati sono il motore che muove molti servizi digitali attraverso i quali gli algoritmi decidono, al mio posto, gli spazi digitali dove terminano le mie ricerche.
Per crescere cittadini digitali dobbiamo essere noi genitori per primi a comprendere questi aspetti legati alla privacy e internet.
Noi per primi dobbiamo convincerci e comportarci di conseguenza: il punto non è non avere niente da nascondere ma proteggere dei diritti fondamentali nostri come dei nostri figli a cominciare dalla libertà di esplorare il web senza filtri di carattere commerciale.
Come proteggere la nostra privacy su internet: Infografica
Nell’infografica al termine dell’articolo ho raccolto alcune regole di base per proteggere la nostra privacy su internet e presto pubblicherò alcuni articoli dedicati a trasmettere ai nostri figli un uso consapevole dei motori di ricerca.
Su questo argomento le regole del Nuovo Regolamento Europeo per la privacy europeo (che trovate qui) vanno nella direzione di garantire uno spazio digitale meno monopolizzato rispetto a quanto non sia stato fino ad oggi a cominciare dal diritto alla portabilità:
Il diritto alla portabilità dei dati (art. 20 del Gdpr) significa obbligare tutte le compagnie digitali a permettermi di trasmettere i miei dati di cui sono in possesso in modo chiaro e rapido ad altre piattaforme.
In questa maniera l’Europa costruisce un sistema di norme che mi permette di lasciare ad esempio Fb a favore di un’eventuale nuova piattaforma social che abbia una maggiore attenzione per la privacy in modo veloce (interessante questo articolo di Paolo Attivissimo sul tema: Gdpr bagno di sangue con risvolti positivi 2018)
Da questo punto vista esistono già, ad esempio alcuni motori di ricerca in particolare Qwant, europeo, che non tracciano i propri utenti e seppur si basano sugli annunci pubblicitari questi son casuali e non basati sui miei dati.
È per questo genere di futuro del web che, a mio parere, come genitori dobbiamo adoperarci iniziando noi per primi a sviluppare una maggiore attenzione sull’uso dei nostri dati personali e parlando con i nostri figli di privacy come di un diritto quale è del cittadino digitale.
E voi che ne pensate? Siete tra chi non ha niente da nascondere o credete sia importante una maggiore attenzione sul diritto alla privacy e internet? Scrivetemi nei commenti le vostre idee.
Nella prossima puntata del nostro Viaggio nei Dati avrò l’onore di ospitare uno splendido articolo sul nuovo regolamento europeo e su come spiegarlo ai bambini più piccoli.
A presto!
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Ana
La decisione da prendere non è facile – soprattutto per per persone che operano in alcuni settori. Ad esempio la cultura. La diffusione e propaganda di se stessi (e viceversa) avviene proprio su piatteforme che usano i propri dati personali.
Ho mia figlia che ha lavorato sodo per anni per divenire una ballerina post-classico. Le compagnie a livello mondiale pubblicano tutto su piatteformi come FB, Instagram ecc. per accedere bisogna essere registrati.
Che possibilità ci sono in tali casi?
Daniele Catozzella
Ciao Ana, grazie per il tuo commento. Rispetto a quello che descrivi personalmente credo sia importante fare una distinzione tra le nostre attività personali online e quelle legate alle nostre attività di “lavoro”. Per proporti un esempio: per promuovere il mio blog sono presente su più piattaforme che mi permettono di condividere i contenuti che produco; sono ad esempio su Facebook con una pagina ma all’interno della piattaforma il mio profilo personale non è visibile e non è connesso ad alcuno. Ovvero, i miei dati personali, le mie esperienze, la mia quotidianità non è presente e non è oggetto di raccolta dati da parte di Facebook. Da quello che mi racconti di tua figlia mi sembra che il discorso sia simile, sul suo profilo personale in una piattaforma sceglie cosa condividere di sé stessa mentre le utilizza per promuovere il suo lavoro. Potrebbe quindi essere presente su una piattaforma in modalità “invisibile” perché non ha interesse di utilizzarla se non per promuovere il suo lavoro. Che ne pensi? Grazie, a presto.